La grande depressione degli anni ‘30, che affonda
le sue radici nel crollo azionario di Wall Street del 1929, si propago’ oltre
oceano per via della connessione del sistema bancario a livello internazionale.
Il collasso economico degli anni ‘30 fu il collasso
di una economia globale scintillante ed ultra moderna. L’espansione degli anni
‘20, fondata su uno scambio commerciale senza precedenti e su un sistema
valutario globale basato sull’oro, era stata accompagnata da un avanzamento
tecnologico che, per portata, fu simile a quello da noi vissuto a cavallo tra
gli anni novanta e il nuovo millennio: era un mondo in cui i film non erano
piu’ muti e l’industria radiofonica cresceva rapidamente.
Il meccanismo propulsivo della crisi degli anni ‘30
fu proprio quel meccanismo attraverso il quale veniva promossa la
globalizzazione, il Gold Standard, e la conseguente battaglia politica per
salvarlo, distrusse tutto.
Il Gold Standard, essendo un meccanismo di cambi
fissi ancorati all’oro, obbligava di fatto gli Stati al pareggio di bilancio.
Questa inflessibilita’ fece si che, quando la recessione divento’ piu’ aspra, i
governi dei paesi piu’ colpiti, intrapresero politiche economiche di austerity
che non fecero altro che peggiorare la situazione.
La scelta di una politica economica di austerity,
al fine del pareggio di bilancio, genero’ disordini sociali e proteste di massa
che, una volta divenute incontenibili, lasciarono spazio all’ondata di
nazionalismo che favori’ la politicizzazione dei debiti dal momento in cui alcuni
paesi iniziarono a rinnegarli.
Gli anni ‘30 si caratterizzarono per la frattura
dell’allora globalizzazione e il disfacimento del Gold Standard. Le nazioni che
un tempo collaboravano iniziarono ad agire in maniera autonoma sia dal punto di
vista politico che economico ingaggiando “guerre” sui cambi, “guerre” sul
commercio estero ed infine veri e propri conflitti militari, culminati con la
seconda guerra mondiale dalle cui ceneri nacque l’Europa.
Oggi ci puo’ sembrare quasi
impossibile che il nostro sistema globale possa scomparire o quantomeno
implodere: la nostra cultura e’ fortemente legata ad esso, dimenticando pero’
che cosi’ lo era anche negli anni ‘30.
Dopo 80 anni, quello che stiamo vivendo, l’attuale
crisi economico-finanziaria, le sue cause, non sono molto dissimili da quelle
degli anni ‘30: le sue radici affondano nel crollo di Wall Street del 2008, e
si e’ propagata oltre oceano per mezzo del sistema bancario interconnesso.
Oggi, a livello globale, non c’e’ un meccanismo di
cambi fissi, ma durante gli ultimi tre anni, dal crollo di Wall Street ad oggi,
si sono iniziate a vedere le prime schermaglie sui cambi. Gli USA chiedevano
con piu’ insistenza alla Cina una maggiore flessibilita’ dello Yuan, mentre a
casa, la FED e Bernanke, davano il via alle printing press inondando il mondo
di dollari, mettendo cosi’ in atto una politica monetaria volta a ridisegnare
gli equilibri valutari.
Quando gli USA iniziarono a stampare dollari la
seconda volta, divenne evidente che questi venivano utilizzati per investimenti
in paesi emergenti come il Brasile.
Il Brasile, successivamente dichiaro’ che gli USA
stavano in realta’ ingaggiando una “guerra” sul cambio con i paesi emergenti e,
come rappresaglia, imposero barriere al flusso di capitali. Al tempo stesso, il
Giappone, spaventato da questa politica degli Stati Uniti e una possibile
ripercussione sulle proprie esportazioni per via di un dollaro debole, e’
intervenuto deprezzando la propria moneta. Dopo il Giappone, anche la Svizzera
e’ intervenuta sul mercato dei cambi, e poi di nuovo Giappone e Argentina
Alcuni temono che queste “guerre” dei cambi, cosi’
come accade negli anni ‘30, siano il primo segnale della fine della
globalizzazione.
Se e’ vero che oggi non esiste un sistema valutario
globale, quello che successe con il Gold Standard potrebbe ripetersi con
l’Euro. L’Euro, difatti, e’ la moneta unica Europea che e’ espressione di un
cambio fisso tra 17 differenti valute. I paesi che ne fanno parte, cosi’ come
accadde per il Gold Standard, aderiscono a regole che forzano al pareggio di
bilancio almeno nel lungo termine. Quando la recessione ha iniziato a colpire
la Grecia nel 2009, la ricetta economica proposta dalla politica non e’ stata
molto dissimile dalla ricetta politica degli anni ‘30: austerity.
Il ricorso a politiche economiche di austerity ha
prodotto lo stesso risultato degli anni ‘30, ossia proteste di massa che,
qualora divenissero incontenibili, creerebbero le condizioni nelle quali la
popolazione e i politici faranno ricadere le colpe della loro inerzia sui
meccanismi e istituzioni che sono alla base del funzionamento della nostra
economia, addossando cosi’ le colpe all’EU o al FMI, facendoli diventare,
nell’immaginario collettivo, il nemico.
In Grecia, ma adesso anche in Italia, questo sta
gia’ accadendo: le colpe di un governo e di una politica inefficiente vengono
fatte ricadere sia dal popolo che dalla politica sui diktat dell’Europa che si
incarnano in Germania e Francia.
La Storia ci insegna che se i governi nazionali si
lasceranno andare a cuor leggero alle pressioni delle proteste di massa,
potremmo assistere alla messa in atto di scelte unilaterali cosi’ come accadde
negli anni ’30, con conseguenze che sono note.
Se il Gold Standard degli
anni ‘30 e’ oggi rappresentato dall’Euro, la politica non deve sottostimare il
parallelo socio economico con gli anni ‘30 e la negligenza morale della
politica di allora.
La rimarcabile somiglianza della crisi degli anni
‘30 alla crisi odierna, non solo per come si e’ generata e poi propagata, ma
anche per via di una politica che sta commettendo gli stessi errori commessi
negli anni ‘30, mi fa tornare alla mente forse uno dei piu’ illuminati uomini
Italiani: Einaudi, secondo cui gli unici ragionamenti che possiamo fare sono
quelli dettati dalla lezione dei fatti, dai quali discendono i limiti delle
conoscenze economiche. Einaudi andava anche oltre affermando che "scelte
fatte, scelte future e previste, conseguenze delle scelte fatte e motivi delle
scelte future si innestano e si compenetrano le une negli altri, sì da rendere
monca e spesso illogica la trattazione separata di ognuno degli aspetti di un
unico problema".
La scelta dell’Europa, secondo i canoni del
ragionamento di Einaudi, e’ una scelta fatta, la scelta fatta dai nostri nonni
di un’Europa con un futuro senza conflitti dopo che due guerre mondiali,
combattute in suolo Europeo, avevano spazzato via generazioni intere. Questa
scelta, fatta oltre 50 anni fa, ha comportato scelte future e previste sin dal
1957, anno della firma del trattato di Roma, scelte che hanno poi portato al
parto della moneta unica, confermando cosi’ che l’Euro e’ frutto di un parto
politico piuttosto che finanziario.
Oggi l’Euro e’ il grande malato, soffre del male di
cui soffri’ il Gold Standard negli anni ‘30, inflessibilita’ e obbligo del
pareggio di bilancio. Proporre oggi, ai paesi facenti parte dell’Euro, la
stessa cura economica adottata per l’allora Gold Standard, risulterebbe
disastroso tanto quanto lo fu per il Gold Standard dove, i fatti, ci insegnano,
che l’austerity fu poi la causa della sua morte.
Se il problema e’ quindi L’Euro, al fine di non
rendere ne’ monca, ne’ illogica qualsiasi soluzione possibile al problema,
dobbiamo prendere in considerazione le scelte fatte che hanno portato alla
nascita della moneta unica: quando fu firmato il trattato di Roma nel ’57,
l’obiettivo finale era chiaramente la costruzione di una nuova entità federale,
gli Stati Uniti d'Europa.
Queste scelte fatte imporrebbero, per logica, di
perseguire il sogno dei nostri nonni, mentre scelta illogica, sarebbe quella,
come negli anni ’30, di abbandonarsi alla possibile ventata di nazionalismo che
scaturirebbe da una mancata volonta’ nel perseguire quegli ideali che videro
l’Europa risorgere dalle ceneri del secondo conflitto mondiale.
Se la storia, i fatti, ci mettono di fronte a
risultati certi per determinate azioni di politica economica, allora risulta
chiaro che, per poter portare avanti quelle scelte Europee che affondano le
radici nel 1957, non possiamo certo commettere gli stessi errori di 80 anni fa.
La risposta non e’, e non puo’ essere, semplicemente austerity, perche’ questa
non inquadrerebbe il problema nella logica di scelte fatte, sulle cui basi
dovrebbero poggiare le scelte future
Risposte alternative
all’austerity per curare l’Euro, vanno ricercate in una logica di scelte fatte
e scelte future, portando avanti l’idea politica di un’Europa federale che
impone una aggregazione fiscale tra i paesi facenti parte dell’Euro che e’
l’unico modo per evitare che l’Euro imploda cosi’ come implose il Gold
Standard.
Nel ricercare risposte alternative a quella di
austerity, non ci si puo’ sottrarre al pensiero dei padri dell’attuale Europa e
alla necessita’ della nostra generazione di portare avanti e difendere a spada
tratta gli ideali degli Stati Uniti d’Europa, ideali il cui seme venne gettato
nel 1957 sulle ceneri dell’Europa distrutta dalla seconda guerra mondiale
L’evoluzione della storia Europea, guidata da
ragionamenti politici miopi e volti ad un graduale cambiamento, hanno portato
alla costruzione di un’Europa e di una moneta monca per definizione. Seppur con
differenze giuridiche enormi, l’Area Euro e’ paragonabile agli USA.
Politicamente e finanziariamente, l’Area Euro non solo e’ un’aggregazione
federale di Stati, ma e’ anche un’area economia comune con una moneta comune,
governata dalla BCE che, come la FED, poggia le basi su un sistema di banche
centrali
Cio’ che rende monca l’Europa, rispetto agli Stati
Uniti, non e’ quindi nella natura federale dell’Europa, ne’ tantomeno nella sua
moneta, ne’ tantomeno nella sua banca centrale. L’Europa, intesa come Area
Euro, si differenza prevalentemente dagli USA per via della mancanza di un
organo federale di governo della politica fiscale. La differenza non e’ certo
minimale e tale da lasciarci muti a considerazioni. Dal punto di vista
economico-finanziario, un sistema federale di stati, con la presenza di una
moneta comune, impone come condizione necessaria e sufficiente alla
sopravvivenza della moneta, una integrazione fiscale da parte dei paesi che la
adottano.
La verità è che l'unione fiscale in un’unione
monetaria, è necessaria per creare un meccanismo permanente di trasferimento
dai paesi che crescono a quelli che, per ragioni strutturali e/o politiche, non
sono in grado di crescere.
L’Euro cosi’ come concepito oggi e’, nella visione
di Einaudi, una cosa fatta a meta’, monca, ed in quanto tale imperfetta, non
rispondendo ad un'autorità sovranazionale in grado di coordinare le politiche
economiche che consentirebbero una riallocazione ottimale delle risorse all’interno
del sistema.
Se l’inflessibilita’ dei cambi fissi, nell’Euro
come nel Gold Standard, potrebbe e dovrebbe essere superata attraverso
l’integrazione fiscale, c’e’ anche da chiedersi se la soluzione al problema
debba essere ricercata esclusivamente nella problematica federale dell’intera
unione Europea o vada anche ricercata tra i paesi membri.
In un contesto di maggiore
integrazione a livello Europeo, l’Italia, cosi’ come i paesi piu’ colpiti dalla
recessione, devono riformarsi perche’ cio’ di cui hanno bisogno i paesi piu’
colpiti dalla recessione non e’ solo austerity ma anche crescita
Se la soluzione alla problematica Euro e’ da
ricercarsi nell’integrazione fiscale, e’ pur vero che i paesi dell’Euro colpiti
in maniera piu’ dura dalla recessione dovrebbero riformarsi al fine di
consentire una maggiore omogeneita’ tra i paesi facenti parte dell’Euro.
Ma se non e’ austerity, quale dovrebbe essere la
ricetta di politica economica che i governi dovrebbero adottare? Per poter fare
in modo che la politica risponda a questa domanda e’ necessario che la politica
stessa sia pronta a buttare gli ideali concepiti come dogmi. Einaudi,
riferendosi agli ideali, sosteneva che "l'aspirazione all'unità,
all'impero di uno solo è una vana chimera, è l'aspirazione di chi ha un'idea,
di chi persegue un'ideale di vita e vorrebbe che gli altri, che tutti avessero
la stessa idea [...]. Egli una sola cosa non vede: che la bellezza del suo
ideale deriva dal contrasto in cui esso si trova con altri ideali".
Einaudi sottolineava come "l'economista non può essere mai nè liberista,
nè interventista, nè socialista ad ogni costo; [...] ogni problema darà luogo
ad una soluzione sua propria, dettata da un appropriato calcolo di
convenienza".
Per quanto controintuitivo possa sembrare, le politiche
di austerity dovrebbero essere ripensate in modo da coniugare da un lato la
razionalizzazione della spesa pubblica che deve essere accompagnata, per quanto
possibile da una riduzione della pressione fiscale. In altri termini: i tagli
imposti dovrebbero essere redistribuiti ai contribuenti sotto forma di
riduzione delle imposte.
La crescita, da un punto di vista di politica
economica, puo’ essere stimolata attraverso una riduzione delle imposte o
attraverso un’incremento della spesa per investimenti da parte dello Stato.
Ovviamente, se le condizioni economiche attuali sono da impedimento ad una
politica Keynesiana di deficit spending, e’ pur vero che le condizioni
economiche non vietano di liberare risorse incagliate per via dell’ingerenza
dello Stato nella quotidiana vita economica.
In Europa, per i paesi piu’ colpiti dalla
recessione, la maggior parte delle risorse viene indebitamente convogliata
dalla politica verso un uso inefficiente, drenando cosi’ le risorse necessarie
al paese per la crescita. Le inefficienze della pubblica amministrazione sono
tali da poter consentire una simultanea razionalizzazione della spesa senza
intaccare i servizi, con una simultanea riduzione della pressione fiscale. La
possibilita’ di liberare risorse altrimenti improduttive ed il loro contestuale
utilizzo, farebbe in modo tale da incentivare spesa ed investimenti privati che
da soli rimetterebbero in moto l’economia.
Il sistema impositivo andrebbe rivisto in relazione
ad una nuova architettura istituzionale federale. Da un lato una riforma che
semplifichi la tassazione eliminando la miriade di tasse lasciandone poche e
certe legate a reddito e consumo (IRPEF ed IVA), dall’altro l’introduzione di
una tassa svincolata dal reddito, volta al finanziamento degli enti locali e da
loro dettata all’interno di una legge quadro nazionale che dovrebbe sostituirsi
ad altre forme di imposta e supplire alla riduzione dei trasferimenti dello
Stato agli enti locali. Come detto, questo andrebbe fatto in concomitanza con
la riduzione della frammentazione del sistema federale. L’esistenza delle
province altro non fa che incrementare eccessi burocratici e Einaudi, non a
torto, sosteneva che le istituzioni devono essere minime, basate sulla
trasparenza, vicine al cittadino e da lui facilmente utilizzabili o
contestabili.
In Italia, il forte livello di evasione e’
parzialmente dovuto al fatto che, la politica, ha perso il contatto diretto con
i cittadini, perdendo il senso di quello che Einaudi descriveva come "che
cosa gli uomini sono disposti a pagare a titolo di imposta" dati i fini e
considerati i risultati della spesa pubblica. Una revisione del sistema fiscale
volta alla razionalizzazione delle imposte genererebbe un vantaggio notevole,
perche’, come sosteneva ancora Einaudi, è sempre l'esperienza storica ad aver
mostrato come dall'arbitrio e dall'incertezza dell'imposta siano derivati il
danno e la reazione del contribuente.
Se da un lato, la certezza e la stabilita’ del
sistema impositivo dovrebbero consentire un miglior controllo e quindi ridurre
di per se l’evasione, quest’ultima potrebbe essere eradicata forzando i
cittadini all’uso della moneta elettronica. Questo eviterebbe di far ricadere,
in ultima istanza, il peso del “controllo fiscale” sul cittadino
Lo Stato deve farsi garante dei diritti cosi’ come
sanciti in costituzione, la caratteristica social democratica del nostro paese
non va smantellata ma rafforzata, attraverso una riforma del sistema
redistributivo che sia equa e solidale, ma al tempo stesso non assistenziale.
Lo Stato dovrebbe, da un lato garantire e facilitare la liberta’ di iniziativa
economica che farebbe crescere il paese, dall’altro dovrebbe porsi come garante
dei diritti di tutela sociale come sanita’, istruzione e pensioni. Lo
squilibrio economico generazionale puo’ essere livellato con una riforma volta
ad eliminare distorsioni dell’attuale sistema pensionistico in essere che puo’
e deve essere rivisto, rimodellandolo in maniera equa sia tra tipologie di
lavoro sia tra generazioni
Queste riforme si rendono necessarie perche’, come
diceva Einaudi, l’attuale ingerenza delle istituzioni nella vita economica ha
impigrito l'individuo portandolo a disinteressarsi e a non assumersi
responsabilità, lasciandosi cosi’ trasportare dalla corrente, accettando con
fatalismo anche illegalità e cattivi servizi, percependoli come prassi.
Tuttavia sembra chiaro che i partiti, i politici,
non hanno ne’ il coraggio, ne’ l’intenzione, ne’ le capacita’ di riformare lo
Stato perche’ una riforma dello Stato comporterebbe necessariamente un
ripensamento dell’architettura della Pubblica Amministrazione, del sistema
impositivo, del sistema redistributivo, del sistema pensionistico,
dell’utilizzo delle risorse per servizi ed investimenti; riforme che nel breve
periodo equivarrebbero ad un suicidio politico per qualsiasi forza cercasse di
metterle in atto
Cosa accadrebbe se la
politica di Bruxell e quella dei singoli paesi fallisse nell’integrazione
fiscale e nel processo riformista?
Se l’Europa fallisse nella ormai consolidata
consapevolezza della necessita’ di una integrazione fiscale, e se i paesi piu’
colpiti dalla recessione non si riformeranno ma accetteranno passivamente
l’austerity come condizione necessaria e sufficiente alla sopravvivenza
dell’Euro, allora, logica vuole, che vedremo di nuovo quel che successe con il
Gold Standard.
Le politiche di austerity, colpendo i paesi piu’ in
crisi, non fanno altro che generare deflazione in un contesto di recessione e
aumento della pressione fiscale, rendendo praticamente impossibile al paese una
qualsiasi forma di ripresa. Nel momento in cui la popolazione non avra’ piu’ la
capacita’ di sostenere recessione e deflazione in un contesto di tasse
crescenti, allora assisteremo, cosi’ come avvenne per il Gold Standard
all’uscita di questi paesi dall’area Euro
Cosi’ come accadde per il Gold Standard, il
paradosso e’ che i paesi che prima usciranno dall’area Euro avranno il
vantaggio competitivo di poter svalutare il cambio e ricercare la crescita
attraverso politiche svalutative competitive, cosi’ come accadde nel 1931.
Cosi’ facendo, come accadde per il Gold Standard, i paesi che usciranno prima
saranno i primi a vedere la propria produzione industriale crescere, mentre i
paesi che soffriranno di piu’ saranno quelli che si ostineranno a ricercare un’equilibrio
all’interno dell’area Euro senza percepire la necessita’ di una unione fiscale
Se mai l’attuale classe politica decidesse di
abbandonare l’idea politica di un’Europa federale unita, cosi’ come concepita
dai nostri nonni, assisteremo forse non solo all’implosione dell’Euro e un
ritorno alle politiche unilaterali, ma anche allo scarica barile delle
responsabilita’ politiche del fallimento sul mercato
La colpa di quel che sta accadendo non e’ da
ricercare mercati ne’ tantomeno del loro funzionamento. I mercati allocano le
risorse, o tendono a farlo, in maniera efficiente. In un tale contesto e’ il
mercato che dovrebbe tenere il passo della politica e delle decisioni da essa
prese, non viceversa. La politica oggi, agisce di riflesso al comportamento del
mercato ma non perche’ e’ il mercato che comanda la politica, bensi’ perche’ e’
la politica ad essere inefficiente costringendo il mercato a riallocare risorse
in maniera alternativa.
La politica, dopo crisi finanziarie, ha sempre
cercato di far ricadere le proprie responsabilita’ sul mercato. Se l’Europa non
raggiungera’ un accordo politico per l’integrazione fiscale e se i singoli
paesi che necessitano di riforme resteranno inerti, allora potremmo vivere mesi
di tensione sui mercati finanziari e forse anche in piazza, mentre la classe
dirigente si nascondera’ ancora una volta dietro la parola speculazione senza
forse neanche sapere che loro stessi ne sono stati la causa.
Le cause dell’attuale crisi finanziaria sono
innumerevoli e vanno ricercate sia nel comportamento dalle banche, dalla
politica e della popolazione che, in alcuni paesi, USA in particolare, ha
usufruito di un eccessivo accesso al credito in ogni sua forma, consentendo di
vivere al di sopra delle possibilita’ per troppo a lungo. Se la politica
Italiana vuole additare le colpe della crisi sul mercato e sui crediti
derivati, vorrei loro ricordare parole scritte nel 1896 da Einaudi che bene si
addicono alla situazione attuale: “…nella fretta di demolire si è dimenticato
che i contratti a termine adempievano ad una funzione la quale ha pur bisogno
di estrinsecarsi…Per diminuire i rischi provenienti dalle oscillazioni dei
prezzi”; e, riferendosi poi alla tutela del risparmiatore, affermava: “E’
evidente che di dolorose rovine di capitalisti, di famiglie intere, non sia
colpevole il meccanismo dei contratti a termine e che la speculazione si
sarebbe rivolta in altre direzioni ove questa via fosse rimasta preclusa…..
Alla legislazione in siffatte materie incombe il dovere non già di togliere la
fonte occasionale del male con una proibizione assoluta, ma di impedire che gli
inavveduti ed in genere il pubblico non professionale si lasci attirare a cuor
leggero nelle speculazioni a termine”
Mi preme concludere con una considerazione: oggi
siamo molto piu’ ricchi di quanto non lo fossimo stati negli anni ‘30 e questo
dovrebbe costituire un cuscino maggiore in caso di implosione: ma la coesione
sociale e’ oggi molto piu’ bassa con una generazione il cui futuro e’ stato
cancellato rendendo cosi’ amara la consolazione che forse le cose erano peggio
negli anni ‘30.