Tuesday 17 September 2019

Lo spettro degli anni '30:il Gold Standard


La grande depressione degli anni ‘30, che affonda le sue radici nel crollo azionario di Wall Street del 1929, si propago’ oltre oceano per via della connessione del sistema bancario a livello internazionale.
Il collasso economico degli anni ‘30 fu il collasso di una economia globale scintillante ed ultra moderna. L’espansione degli anni ‘20, fondata su uno scambio commerciale senza precedenti e su un sistema valutario globale basato sull’oro, era stata accompagnata da un avanzamento tecnologico che, per portata, fu simile a quello da noi vissuto a cavallo tra gli anni novanta e il nuovo millennio: era un mondo in cui i film non erano piu’ muti e l’industria radiofonica cresceva rapidamente.
Il meccanismo propulsivo della crisi degli anni ‘30 fu proprio quel meccanismo attraverso il quale veniva promossa la globalizzazione, il Gold Standard, e la conseguente battaglia politica per salvarlo, distrusse tutto.
Il Gold Standard, essendo un meccanismo di cambi fissi ancorati all’oro, obbligava di fatto gli Stati al pareggio di bilancio. Questa inflessibilita’ fece si che, quando la recessione divento’ piu’ aspra, i governi dei paesi piu’ colpiti, intrapresero politiche economiche di austerity che non fecero altro che peggiorare la situazione.
La scelta di una politica economica di austerity, al fine del pareggio di bilancio, genero’ disordini sociali e proteste di massa che, una volta divenute incontenibili, lasciarono spazio all’ondata di nazionalismo che favori’ la politicizzazione dei debiti dal momento in cui alcuni paesi iniziarono a rinnegarli.
Gli anni ‘30 si caratterizzarono per la frattura dell’allora globalizzazione e il disfacimento del Gold Standard. Le nazioni che un tempo collaboravano iniziarono ad agire in maniera autonoma sia dal punto di vista politico che economico ingaggiando “guerre” sui cambi, “guerre” sul commercio estero ed infine veri e propri conflitti militari, culminati con la seconda guerra mondiale dalle cui ceneri nacque l’Europa.

Oggi ci puo’ sembrare quasi impossibile che il nostro sistema globale possa scomparire o quantomeno implodere: la nostra cultura e’ fortemente legata ad esso, dimenticando pero’ che cosi’ lo era anche negli anni ‘30.

Dopo 80 anni, quello che stiamo vivendo, l’attuale crisi economico-finanziaria, le sue cause, non sono molto dissimili da quelle degli anni ‘30: le sue radici affondano nel crollo di Wall Street del 2008, e si e’ propagata oltre oceano per mezzo del sistema bancario interconnesso.
Oggi, a livello globale, non c’e’ un meccanismo di cambi fissi, ma durante gli ultimi tre anni, dal crollo di Wall Street ad oggi, si sono iniziate a vedere le prime schermaglie sui cambi. Gli USA chiedevano con piu’ insistenza alla Cina una maggiore flessibilita’ dello Yuan, mentre a casa, la FED e Bernanke, davano il via alle printing press inondando il mondo di dollari, mettendo cosi’ in atto una politica monetaria volta a ridisegnare gli equilibri valutari.
Quando gli USA iniziarono a stampare dollari la seconda volta, divenne evidente che questi venivano utilizzati per investimenti in paesi emergenti come il Brasile.
Il Brasile, successivamente dichiaro’ che gli USA stavano in realta’ ingaggiando una “guerra” sul cambio con i paesi emergenti e, come rappresaglia, imposero barriere al flusso di capitali. Al tempo stesso, il Giappone, spaventato da questa politica degli Stati Uniti e una possibile ripercussione sulle proprie esportazioni per via di un dollaro debole, e’ intervenuto deprezzando la propria moneta. Dopo il Giappone, anche la Svizzera e’ intervenuta sul mercato dei cambi, e poi di nuovo Giappone e Argentina
Alcuni temono che queste “guerre” dei cambi, cosi’ come accade negli anni ‘30, siano il primo segnale della fine della globalizzazione.
Se e’ vero che oggi non esiste un sistema valutario globale, quello che successe con il Gold Standard potrebbe ripetersi con l’Euro. L’Euro, difatti, e’ la moneta unica Europea che e’ espressione di un cambio fisso tra 17 differenti valute. I paesi che ne fanno parte, cosi’ come accadde per il Gold Standard, aderiscono a regole che forzano al pareggio di bilancio almeno nel lungo termine. Quando la recessione ha iniziato a colpire la Grecia nel 2009, la ricetta economica proposta dalla politica non e’ stata molto dissimile dalla ricetta politica degli anni ‘30: austerity.
Il ricorso a politiche economiche di austerity ha prodotto lo stesso risultato degli anni ‘30, ossia proteste di massa che, qualora divenissero incontenibili, creerebbero le condizioni nelle quali la popolazione e i politici faranno ricadere le colpe della loro inerzia sui meccanismi e istituzioni che sono alla base del funzionamento della nostra economia, addossando cosi’ le colpe all’EU o al FMI, facendoli diventare, nell’immaginario collettivo, il nemico.
In Grecia, ma adesso anche in Italia, questo sta gia’ accadendo: le colpe di un governo e di una politica inefficiente vengono fatte ricadere sia dal popolo che dalla politica sui diktat dell’Europa che si incarnano in Germania e Francia.
La Storia ci insegna che se i governi nazionali si lasceranno andare a cuor leggero alle pressioni delle proteste di massa, potremmo assistere alla messa in atto di scelte unilaterali cosi’ come accadde negli anni ’30, con conseguenze che sono note.

Se il Gold Standard degli anni ‘30 e’ oggi rappresentato dall’Euro, la politica non deve sottostimare il parallelo socio economico con gli anni ‘30 e la negligenza morale della politica di allora.

La rimarcabile somiglianza della crisi degli anni ‘30 alla crisi odierna, non solo per come si e’ generata e poi propagata, ma anche per via di una politica che sta commettendo gli stessi errori commessi negli anni ‘30, mi fa tornare alla mente forse uno dei piu’ illuminati uomini Italiani: Einaudi, secondo cui gli unici ragionamenti che possiamo fare sono quelli dettati dalla lezione dei fatti, dai quali discendono i limiti delle conoscenze economiche. Einaudi andava anche oltre affermando che "scelte fatte, scelte future e previste, conseguenze delle scelte fatte e motivi delle scelte future si innestano e si compenetrano le une negli altri, sì da rendere monca e spesso illogica la trattazione separata di ognuno degli aspetti di un unico problema".
La scelta dell’Europa, secondo i canoni del ragionamento di Einaudi, e’ una scelta fatta, la scelta fatta dai nostri nonni di un’Europa con un futuro senza conflitti dopo che due guerre mondiali, combattute in suolo Europeo, avevano spazzato via generazioni intere. Questa scelta, fatta oltre 50 anni fa, ha comportato scelte future e previste sin dal 1957, anno della firma del trattato di Roma, scelte che hanno poi portato al parto della moneta unica, confermando cosi’ che l’Euro e’ frutto di un parto politico piuttosto che finanziario.
Oggi l’Euro e’ il grande malato, soffre del male di cui soffri’ il Gold Standard negli anni ‘30, inflessibilita’ e obbligo del pareggio di bilancio. Proporre oggi, ai paesi facenti parte dell’Euro, la stessa cura economica adottata per l’allora Gold Standard, risulterebbe disastroso tanto quanto lo fu per il Gold Standard dove, i fatti, ci insegnano, che l’austerity fu poi la causa della sua morte.
Se il problema e’ quindi L’Euro, al fine di non rendere ne’ monca, ne’ illogica qualsiasi soluzione possibile al problema, dobbiamo prendere in considerazione le scelte fatte che hanno portato alla nascita della moneta unica: quando fu firmato il trattato di Roma nel ’57, l’obiettivo finale era chiaramente la costruzione di una nuova entità federale, gli Stati Uniti d'Europa.
Queste scelte fatte imporrebbero, per logica, di perseguire il sogno dei nostri nonni, mentre scelta illogica, sarebbe quella, come negli anni ’30, di abbandonarsi alla possibile ventata di nazionalismo che scaturirebbe da una mancata volonta’ nel perseguire quegli ideali che videro l’Europa risorgere dalle ceneri del secondo conflitto mondiale.
Se la storia, i fatti, ci mettono di fronte a risultati certi per determinate azioni di politica economica, allora risulta chiaro che, per poter portare avanti quelle scelte Europee che affondano le radici nel 1957, non possiamo certo commettere gli stessi errori di 80 anni fa. La risposta non e’, e non puo’ essere, semplicemente austerity, perche’ questa non inquadrerebbe il problema nella logica di scelte fatte, sulle cui basi dovrebbero poggiare le scelte future

Risposte alternative all’austerity per curare l’Euro, vanno ricercate in una logica di scelte fatte e scelte future, portando avanti l’idea politica di un’Europa federale che impone una aggregazione fiscale tra i paesi facenti parte dell’Euro che e’ l’unico modo per evitare che l’Euro imploda cosi’ come implose il Gold Standard.

Nel ricercare risposte alternative a quella di austerity, non ci si puo’ sottrarre al pensiero dei padri dell’attuale Europa e alla necessita’ della nostra generazione di portare avanti e difendere a spada tratta gli ideali degli Stati Uniti d’Europa, ideali il cui seme venne gettato nel 1957 sulle ceneri dell’Europa distrutta dalla seconda guerra mondiale
L’evoluzione della storia Europea, guidata da ragionamenti politici miopi e volti ad un graduale cambiamento, hanno portato alla costruzione di un’Europa e di una moneta monca per definizione. Seppur con differenze giuridiche enormi, l’Area Euro e’ paragonabile agli USA. Politicamente e finanziariamente, l’Area Euro non solo e’ un’aggregazione federale di Stati, ma e’ anche un’area economia comune con una moneta comune, governata dalla BCE che, come la FED, poggia le basi su un sistema di banche centrali
Cio’ che rende monca l’Europa, rispetto agli Stati Uniti, non e’ quindi nella natura federale dell’Europa, ne’ tantomeno nella sua moneta, ne’ tantomeno nella sua banca centrale. L’Europa, intesa come Area Euro, si differenza prevalentemente dagli USA per via della mancanza di un organo federale di governo della politica fiscale. La differenza non e’ certo minimale e tale da lasciarci muti a considerazioni. Dal punto di vista economico-finanziario, un sistema federale di stati, con la presenza di una moneta comune, impone come condizione necessaria e sufficiente alla sopravvivenza della moneta, una integrazione fiscale da parte dei paesi che la adottano.
La verità è che l'unione fiscale in un’unione monetaria, è necessaria per creare un meccanismo permanente di trasferimento dai paesi che crescono a quelli che, per ragioni strutturali e/o politiche, non sono in grado di crescere.
L’Euro cosi’ come concepito oggi e’, nella visione di Einaudi, una cosa fatta a meta’, monca, ed in quanto tale imperfetta, non rispondendo ad un'autorità sovranazionale in grado di coordinare le politiche economiche che consentirebbero una riallocazione ottimale delle risorse all’interno del sistema.
Se l’inflessibilita’ dei cambi fissi, nell’Euro come nel Gold Standard, potrebbe e dovrebbe essere superata attraverso l’integrazione fiscale, c’e’ anche da chiedersi se la soluzione al problema debba essere ricercata esclusivamente nella problematica federale dell’intera unione Europea o vada anche ricercata tra i paesi membri.

In un contesto di maggiore integrazione a livello Europeo, l’Italia, cosi’ come i paesi piu’ colpiti dalla recessione, devono riformarsi perche’ cio’ di cui hanno bisogno i paesi piu’ colpiti dalla recessione non e’ solo austerity ma anche crescita

Se la soluzione alla problematica Euro e’ da ricercarsi nell’integrazione fiscale, e’ pur vero che i paesi dell’Euro colpiti in maniera piu’ dura dalla recessione dovrebbero riformarsi al fine di consentire una maggiore omogeneita’ tra i paesi facenti parte dell’Euro.
Ma se non e’ austerity, quale dovrebbe essere la ricetta di politica economica che i governi dovrebbero adottare? Per poter fare in modo che la politica risponda a questa domanda e’ necessario che la politica stessa sia pronta a buttare gli ideali concepiti come dogmi. Einaudi, riferendosi agli ideali, sosteneva che "l'aspirazione all'unità, all'impero di uno solo è una vana chimera, è l'aspirazione di chi ha un'idea, di chi persegue un'ideale di vita e vorrebbe che gli altri, che tutti avessero la stessa idea [...]. Egli una sola cosa non vede: che la bellezza del suo ideale deriva dal contrasto in cui esso si trova con altri ideali". Einaudi sottolineava come "l'economista non può essere mai nè liberista, nè interventista, nè socialista ad ogni costo; [...] ogni problema darà luogo ad una soluzione sua propria, dettata da un appropriato calcolo di convenienza".
Per quanto controintuitivo possa sembrare, le politiche di austerity dovrebbero essere ripensate in modo da coniugare da un lato la razionalizzazione della spesa pubblica che deve essere accompagnata, per quanto possibile da una riduzione della pressione fiscale. In altri termini: i tagli imposti dovrebbero essere redistribuiti ai contribuenti sotto forma di riduzione delle imposte.
La crescita, da un punto di vista di politica economica, puo’ essere stimolata attraverso una riduzione delle imposte o attraverso un’incremento della spesa per investimenti da parte dello Stato. Ovviamente, se le condizioni economiche attuali sono da impedimento ad una politica Keynesiana di deficit spending, e’ pur vero che le condizioni economiche non vietano di liberare risorse incagliate per via dell’ingerenza dello Stato nella quotidiana vita economica.
In Europa, per i paesi piu’ colpiti dalla recessione, la maggior parte delle risorse viene indebitamente convogliata dalla politica verso un uso inefficiente, drenando cosi’ le risorse necessarie al paese per la crescita. Le inefficienze della pubblica amministrazione sono tali da poter consentire una simultanea razionalizzazione della spesa senza intaccare i servizi, con una simultanea riduzione della pressione fiscale. La possibilita’ di liberare risorse altrimenti improduttive ed il loro contestuale utilizzo, farebbe in modo tale da incentivare spesa ed investimenti privati che da soli rimetterebbero in moto l’economia.
Il sistema impositivo andrebbe rivisto in relazione ad una nuova architettura istituzionale federale. Da un lato una riforma che semplifichi la tassazione eliminando la miriade di tasse lasciandone poche e certe legate a reddito e consumo (IRPEF ed IVA), dall’altro l’introduzione di una tassa svincolata dal reddito, volta al finanziamento degli enti locali e da loro dettata all’interno di una legge quadro nazionale che dovrebbe sostituirsi ad altre forme di imposta e supplire alla riduzione dei trasferimenti dello Stato agli enti locali. Come detto, questo andrebbe fatto in concomitanza con la riduzione della frammentazione del sistema federale. L’esistenza delle province altro non fa che incrementare eccessi burocratici e Einaudi, non a torto, sosteneva che le istituzioni devono essere minime, basate sulla trasparenza, vicine al cittadino e da lui facilmente utilizzabili o contestabili.
In Italia, il forte livello di evasione e’ parzialmente dovuto al fatto che, la politica, ha perso il contatto diretto con i cittadini, perdendo il senso di quello che Einaudi descriveva come "che cosa gli uomini sono disposti a pagare a titolo di imposta" dati i fini e considerati i risultati della spesa pubblica. Una revisione del sistema fiscale volta alla razionalizzazione delle imposte genererebbe un vantaggio notevole, perche’, come sosteneva ancora Einaudi, è sempre l'esperienza storica ad aver mostrato come dall'arbitrio e dall'incertezza dell'imposta siano derivati il danno e la reazione del contribuente.
Se da un lato, la certezza e la stabilita’ del sistema impositivo dovrebbero consentire un miglior controllo e quindi ridurre di per se l’evasione, quest’ultima potrebbe essere eradicata forzando i cittadini all’uso della moneta elettronica. Questo eviterebbe di far ricadere, in ultima istanza, il peso del “controllo fiscale” sul cittadino
Lo Stato deve farsi garante dei diritti cosi’ come sanciti in costituzione, la caratteristica social democratica del nostro paese non va smantellata ma rafforzata, attraverso una riforma del sistema redistributivo che sia equa e solidale, ma al tempo stesso non assistenziale. Lo Stato dovrebbe, da un lato garantire e facilitare la liberta’ di iniziativa economica che farebbe crescere il paese, dall’altro dovrebbe porsi come garante dei diritti di tutela sociale come sanita’, istruzione e pensioni. Lo squilibrio economico generazionale puo’ essere livellato con una riforma volta ad eliminare distorsioni dell’attuale sistema pensionistico in essere che puo’ e deve essere rivisto, rimodellandolo in maniera equa sia tra tipologie di lavoro sia tra generazioni
Queste riforme si rendono necessarie perche’, come diceva Einaudi, l’attuale ingerenza delle istituzioni nella vita economica ha impigrito l'individuo portandolo a disinteressarsi e a non assumersi responsabilità, lasciandosi cosi’ trasportare dalla corrente, accettando con fatalismo anche illegalità e cattivi servizi, percependoli come prassi.
Tuttavia sembra chiaro che i partiti, i politici, non hanno ne’ il coraggio, ne’ l’intenzione, ne’ le capacita’ di riformare lo Stato perche’ una riforma dello Stato comporterebbe necessariamente un ripensamento dell’architettura della Pubblica Amministrazione, del sistema impositivo, del sistema redistributivo, del sistema pensionistico, dell’utilizzo delle risorse per servizi ed investimenti; riforme che nel breve periodo equivarrebbero ad un suicidio politico per qualsiasi forza cercasse di metterle in atto

Cosa accadrebbe se la politica di Bruxell e quella dei singoli paesi fallisse nell’integrazione fiscale e nel processo riformista?

Se l’Europa fallisse nella ormai consolidata consapevolezza della necessita’ di una integrazione fiscale, e se i paesi piu’ colpiti dalla recessione non si riformeranno ma accetteranno passivamente l’austerity come condizione necessaria e sufficiente alla sopravvivenza dell’Euro, allora, logica vuole, che vedremo di nuovo quel che successe con il Gold Standard.
Le politiche di austerity, colpendo i paesi piu’ in crisi, non fanno altro che generare deflazione in un contesto di recessione e aumento della pressione fiscale, rendendo praticamente impossibile al paese una qualsiasi forma di ripresa. Nel momento in cui la popolazione non avra’ piu’ la capacita’ di sostenere recessione e deflazione in un contesto di tasse crescenti, allora assisteremo, cosi’ come avvenne per il Gold Standard all’uscita di questi paesi dall’area Euro
Cosi’ come accadde per il Gold Standard, il paradosso e’ che i paesi che prima usciranno dall’area Euro avranno il vantaggio competitivo di poter svalutare il cambio e ricercare la crescita attraverso politiche svalutative competitive, cosi’ come accadde nel 1931. Cosi’ facendo, come accadde per il Gold Standard, i paesi che usciranno prima saranno i primi a vedere la propria produzione industriale crescere, mentre i paesi che soffriranno di piu’ saranno quelli che si ostineranno a ricercare un’equilibrio all’interno dell’area Euro senza percepire la necessita’ di una unione fiscale
Se mai l’attuale classe politica decidesse di abbandonare l’idea politica di un’Europa federale unita, cosi’ come concepita dai nostri nonni, assisteremo forse non solo all’implosione dell’Euro e un ritorno alle politiche unilaterali, ma anche allo scarica barile delle responsabilita’ politiche del fallimento sul mercato
La colpa di quel che sta accadendo non e’ da ricercare mercati ne’ tantomeno del loro funzionamento. I mercati allocano le risorse, o tendono a farlo, in maniera efficiente. In un tale contesto e’ il mercato che dovrebbe tenere il passo della politica e delle decisioni da essa prese, non viceversa. La politica oggi, agisce di riflesso al comportamento del mercato ma non perche’ e’ il mercato che comanda la politica, bensi’ perche’ e’ la politica ad essere inefficiente costringendo il mercato a riallocare risorse in maniera alternativa.
La politica, dopo crisi finanziarie, ha sempre cercato di far ricadere le proprie responsabilita’ sul mercato. Se l’Europa non raggiungera’ un accordo politico per l’integrazione fiscale e se i singoli paesi che necessitano di riforme resteranno inerti, allora potremmo vivere mesi di tensione sui mercati finanziari e forse anche in piazza, mentre la classe dirigente si nascondera’ ancora una volta dietro la parola speculazione senza forse neanche sapere che loro stessi ne sono stati la causa.
Le cause dell’attuale crisi finanziaria sono innumerevoli e vanno ricercate sia nel comportamento dalle banche, dalla politica e della popolazione che, in alcuni paesi, USA in particolare, ha usufruito di un eccessivo accesso al credito in ogni sua forma, consentendo di vivere al di sopra delle possibilita’ per troppo a lungo. Se la politica Italiana vuole additare le colpe della crisi sul mercato e sui crediti derivati, vorrei loro ricordare parole scritte nel 1896 da Einaudi che bene si addicono alla situazione attuale: “…nella fretta di demolire si è dimenticato che i contratti a termine adempievano ad una funzione la quale ha pur bisogno di estrinsecarsi…Per diminuire i rischi provenienti dalle oscillazioni dei prezzi”; e, riferendosi poi alla tutela del risparmiatore, affermava: “E’ evidente che di dolorose rovine di capitalisti, di famiglie intere, non sia colpevole il meccanismo dei contratti a termine e che la speculazione si sarebbe rivolta in altre direzioni ove questa via fosse rimasta preclusa….. Alla legislazione in siffatte materie incombe il dovere non già di togliere la fonte occasionale del male con una proibizione assoluta, ma di impedire che gli inavveduti ed in genere il pubblico non professionale si lasci attirare a cuor leggero nelle speculazioni a termine”
Mi preme concludere con una considerazione: oggi siamo molto piu’ ricchi di quanto non lo fossimo stati negli anni ‘30 e questo dovrebbe costituire un cuscino maggiore in caso di implosione: ma la coesione sociale e’ oggi molto piu’ bassa con una generazione il cui futuro e’ stato cancellato rendendo cosi’ amara la consolazione che forse le cose erano peggio negli anni ‘30.


Thursday 28 July 2011

Lettera aperta ai parlamentari e cittadini da una sala operativa di Londra*


Gentili onorevoli,

sono un italiano residente a Londra che lavora come operatore per una delle piu’ grandi societa’ di gestione al mondo.

Non passa giorno che non veda l’Italia come maglia nera dell’europa tra i mercati azionari, cosi’ come non passa giorno che non veda i titoli che prezzano il rischio di fallimento dell’Italia salire, indicando una totale mancanza di fiducia del mercato nel fatto che l’Italia sia in grado di navigare verso acque tranquille durante e dopo la tempesta finanziaria che ormai da oltre due anni si sta abattendo sulle economie occidentali.

Cio’ che viene comunemente chiamata “speculazione” altro non e’ che la vendita dei titoli di Stato Italiani sul mercato secondario da parte di chi attualmente li detiene. La vendita e’ fondamentalmente dovuta dalla mancanza di fiducia che il mercato ripone sull’Italia e la capacita’ della sua classe politica di risolverne i problemi. Gli stessi problemi che hanno visto l’Italia crescere di soli 2 punti percentuali nell’ultimo decennio (0.2% all’anno) e problemi che ci portiamo dietro dagli anni 80, problemi che non sono mai stati realmente ne’ affrontati ne’ risolti.
In altre parole, le persone come me, che gestiscono le pensioni dei cittadini (anche di quelli italiani), la ricchezza di corporate e altre istituzioni finanziarie, non credono che la politica italiana abbia la capacita’ di risolvere i problemi che attanagliano il paese, con la conseguenza che, facendo gli interessi dei nostri clienti, ci troviamo costretti a vendere posizioni aperte sull’Italia, contribuendo cosi’ al profondo rosso dei mercati.

La scarsa capacita’ amministrativa e obiettivita’ della classe dirigente e’ apparsa chiara all’indomani dell’approvazione della manovra finanziaria quando tutti i politici si aspettavano un abbassamento degli spread con il BUND, abbassamento che non e’ mai arrivato. Difatti, il mercato in generale non ha apprezzato la finanziaria, anzi l’ha bocciata, in quanto non affronta nessuno dei problemi dell’Italia, anzi, tendera’ ad evedinziarli nel futuro. Problemi di alto debito e crescita zero non possono essere risolti da una finanziaria che miri esclusivamente alla riduzione di costi senza buttare uno sguardo verso la crescita del paese.
L’errore di una finanziaria che mira solo a tagli e’ lo stesso errore che e’ stato fatto dalla Grecia nel 2010 che ha generato non solo disordini l’anno seguente, ma anche una forte contrazione dell’economia che di per se fa aumentare il rapporto debito/PIL rendendo di fatto inutili i risparmi di spesa cosicche’ si necessita di una nuova manovra correttiva

La riduzione degli spread e’ si arrivata, ma non certo grazie alla finanziaria approvata, ma grazie ad un intervento dell’Europa che ha sembrato calmare le acque, grazie ad una azione congiunta di Francia e Germania a favore della Grecia e di altre misure di politica monetaria (FMI e BCE)
Tuttavia, se questi interventi hanno di fatto placato il mercato e noi operatori, di certo non hanno eliminato i problemi di fondo dell’Italia. Il mercato tornera’ a concentrarsi di nuovo sui problemi dell’Europa e in particolare dell’Italia a partire dalla fine dell’estate se non prima, una volta accantonati i problemi di innalzamento del debito americano e le ferie estive

Da Londra, al di la delle parole rassicuranti del FMI, di Draghi e dei nostri politici, ci si aspetta che la bufera torni ad abbattersi di nuovo sull’Italia e che questa volta non saranno sufficienti (cosi’ come non lo e’ stato per la Grecia) interventi miopi e di breve respiro come la finanziaria fatta con “le larghe intese”. Tali interventi non saranno sufficienti a contrastare e placare il mercato, rendendo necessario all’italia un aiuto dal FMI. Qui nell’ambiete noi diciamo che in una tale situazione si avra’ la necessita’ di partorire il figlio del FMI perche’ un’Italia come la Grecia, avrebbe proporzioni talmente grandi che le attuali strutture monetarie di sostegno non sarebbero sufficienti, lasciando la possibilita’ che l’Italia si paralizzi per un ventennio.

Dalle sale operative, l’Italia e’ vista come una nazione che è a disagio nel mondo odierno, ha paura della globalizzazione e dell'immigrazione. Una nazione che nel corso degli anni ha scelto una serie di politiche che discriminano i giovani a favore dei vecchi, combinando a questo una forte avversione per la meritocrazia che ha portato talenti nostrani a lasciare il paese (Rubbia, Modigliani e molti altri). Una nazione che dopo essersi “liberata” dall’oppressione della prima repubblica, non è riuscita a rinnovare le sue istituzioni e tutt’ora soffre di conflitti di interesse debilitanti nella magistratura, la politica, i media e business.

Dalle sale oprative sembra chiaro quale sia il grido di aiuto che noi lanciano alla classe politica: una riforma del sistema Italia, una riforma che non sia di facciata, ma sia una riforma vera. L’italia necessita di una riforma strutturale del sistema impositivo, del sistema redistributivo e dell’utilizzo di risorse volte alla crescita del paese. In altre parole l’Italia necessita di un nuovo risorgimento

Tuttavia ci si chiede se questa classe dirigente sia all’altezza di queste riforme. Ci si chiede se mai una classe politica invecchiata all’interno dei palazzi sia in grado di consegnare una tale riforma strutturale del paese. Ci si chiede se chi e’ gia’ stato parlamentare, presidente del consiglio e rappresentante dello stato per piu’ di 3 legislature sia in grado di fornire quello che non ha fornito al paese negli ultimi trenta anni. Ci si chiede se sia possibile che una classe politica di ultrasessantenni sia in grado di vedere il futuro con gli occhi di un amministratore giovane e consegnare il paese ad un futuro nuovo e di speranza.

A tutte queste domande che noi operatori ci poniamo, la risposta e’ chiaramente negativa, alimentando cosi’ l’impellenza di vendere titoli per evitare di far sopportare ai nostri clienti la possibile catastrofe.

Il mercato sta chiedendo ai politici Italiani, la stessa cosa che i cittadini chiedono da ormai troppo tempo, il rinnovamento della classe politica e riforme strutturali, non una legge elettorale o una nuova finanziaria.
Chiede rinnovamento, stabilita’ e coraggio a tutta la classe politica, una classe politica senza troppi privilegi e con gli stessi diritti dei cittadini.
Chiede l’abbattimento di tutte le barriere all’entrata che opprimono i cittadini, e una classe politica competente che istaurati una sana rotazione tra i giovani e i vecchi all’interno del parlamento e organi costituzionali in quanto la politica e’ un servizio che viene reso al paese e non viceversa. Rotazione che dovrebbe avvenire forzando gli ultra ventennali parlamentari fuori dalla vita politica che consentirebbe l’applicazione di nuove idee e un rinnovamento del paese guidato da chi ha di fronte a se ancora gli anni per poter vedere l’effetto delle sue politiche economiche.

Se queste riforme non verranno effettuate quanto prima possibile, l’Italia potrebbe trovarsi nel giro di mesi o anche settimane, a vivere mesi di tensione sui mercati finanziari e forse anche in piazza come quelli vissuti in Grecia, perche’ il mercato punira’ severamente la politica inefficente, ma con essa, punira’ anche tutta la popolazione, facendola pagare per errori commessi dalla classe dirigente che si nascondera’ ancora una volta dietro la parola speculazione senza forse neanche sapere che loro stessi ne sono stati la causa.